“Chiacchiere e nuvole” – Puntata n. 28 – La situazione politica? È grave, ma non è seria…

L’abbiamo già annotato. Ma repetita iuvant. Di Maio ed il risorto Beppe Grillo, con il corollario degli agitatissimi parlamentari pentastellati, hanno azzardato un bluff, che sapeva di precarietà fin dal suo proclama: il taglio dei parlamentari.

Giusta, sacrosanta determinazione, di nobilissimo significato simbolico, ma, francamente, non di certo l’urgenza estrema, in Italia. Insomma, non una priorità assoluta. Era, semmai, un “lisciare il tre”, con un duplice scopo. Il primo: rinviare sine die il voto popolare, nell’angoscia di soccombere, per l’ennesima volta, dopo le europee del 26 maggio e tutte le regionali, intercorse nel frattempo.

Il secondo: mettere all’angolo, in imbarazzo estremo, la Lega. Esporla al ludibrio del popolo, che non l’avrebbe digerita,  una retromarcia sul taglio dei parlamentari. E, per il vero, non avrebbe accettato neppure una subordinata: cioè, un traccheggiamento, indugi immotivati, o pretestuosi rallentamenti. Era il terreno più fertile e propizio, per i grillini. Era una loro proprietà privata. Ma la trovata di Salvini ha rovesciato il tavolo…

E Salvini disse: “Vedo”…

Quello di Di Maio, sul “taglio subito, poi al voto”, era un bluff, un azzardo, che non riusciva a dissimulare i suoi veri, malcelati scopi. E Salvini è un osso duro, uno che non perde la bussola, al cospetto degli avversari (o para-alleati) politici. Semmai, sono la magistratura ed il TAR, come proprio a Ferragosto, per il provvedimento anti-Salvini sulla “Open Arms”poteri che non possono essere contrastati, né tantomeno zittiti, dal popolo – a farlo entrare in crisi provvisoria. Dunque, il Matteo del Nord  ha risposto, dopo una breve meditazione, utile per far restare in suspence il quadro politico: “Vedo”… Come fanno i pokeristi consumati, esperti, muniti della qualità più micidiale: il sangue freddo di chi è sicuro di sé e dell’assoluta fedeltà (almeno, finora) del suo partito. Una dote che è ancor più vincente, in un panorama di agitati, di terrorizzati dalla sempre più imminente possibilità del ritorno alle urne, nonché di animelle, persuase, nel loro intimo, di non potercela mai fare, ad uscire dal Parlamento (peggio ancora, subito, in una fase di incessante crescita, per la Lega), per rientrarvi dalle porte, non proprio girevoli per tutti, di Camera e Senato.

 

Il “dispittoso” Renzi, che non vedeva l’ora, coglie la palla (insperata) al balzo…

Nella precedente puntata, abbiamo fatto riferimento al monito di Carlo Calenda, che ha diffidato il Partito Democratico da un accordo politico con i grillini. Che sarebbe, a parere di Calenda e dei più equilibrati opinionisti, di somma incoerenza e da precipizio dell’immagine, per i piddini, dopo le tonnellate di contumelie di reciproco scambio, con i grillini. Ha insinuato, Calenda, che Renzi propugni queste idee bislacche (proprio lui, bersaglio delle espressioni più sferzanti, da parte di Di Maio e dei pentastellati) solo per guadagnare il tempo necessario a costruire il suo nuovo partito. Ed ha concluso, sempre Calenda, con le espressioni lapidarie, già segnalate da questa rubrica: “Con il progetto renziano, si perderebbero non solo le elezioni… Ma anche l’onore”. Nicola Zingaretti, il segretario del PD, era stato, ex post, cioè dopo Calenda, sufficientemente chiaro, escludendo l’accordo PD / Cinque Stelle.  Ma Zingaretti resta solo il sintetizzatore umano (non elettronico, cioè) del pensiero piddino. In altri termini, per esemplificare, è nient’altro che colui, al quale è demandato l’ingrato compito, la missione impossibile, di armonizzare (è una parola…) tutte le idee, le non-idee, le amenità, le provocazioni, le stravaganze del partito più disorganico del panorama politico italiano e più conflittuale al suo interno.

 

Il coniglietto dal cilindro…

Come sempre accade, a rompere gli indugi è stato Salvini. Che ha fatto salire la tensione per qualche giorno, per poi estrarre dal cilindro il consueto coniglietto a sorpresa. E che sorpresa… Ha spiazzato tutti, ma proprio tutti, Salvini. Proponendo, in Senato, mica dai consueti post sui social: “Tagliamo subito 345 deputati e senatori. Ma, poi, immediatamente al voto!”. Traduzione: ed ora, basta, con le scuse! Di Maio ed i grillini hanno replicato con stizza, dopo qualche esitazione significativa (non se l’aspettavano, la genialata di Salvini e, magari, si saranno consultati con i loro professoroni di diritto, a cominciare dal premier Conte): Salvini si dimetta da ministro dell’Interno (non può gestire le elezioni da parte in causa, da competitor); nessun veto all’intesa col Partito Democratico (lo spauracchio, agitato da Davide Casaleggio). Ma, soprattutto, Di Maio, in prima persona, ha tuonato: “Prima del taglio dei parlamentari, Salvini ritiri la sfiducia a Conte”. Incalzando, quindi: “Chi può dare ancora credito alla parola di Salvini? Quello che dice non conta più nulla”. Ma, se davvero il garbuglio venisse sciolto a favore di Di Maio, sulla base di una complicata interpretazione dei regolamenti parlamentari (nel senso che si debba votare prima sulla sfiducia al premier e poi, solo dopo, sul taglio), perché mai Di Maio ha insistito tanto, sull’urgenza del taglio? Solo per una furbata, che, per l’appunto, neutralizzasse la sfiducia leghista (e non solo leghista) a Conte? Il solito, fastidiosissimo popolo sovrano, quello che un dì stava tanto a cuore, ai grillini, può anche andare a farsi friggere?


Le perplessità dei costituzionalisti e di Mattarella

Sul solco, tracciato superficialmente e provocatoriamente, da Luigi Di Maio (quel “tagliamo subito i parlamentari…”), s’è, dunque, lestamente inserito, dimostrandosi molto a suo agio, lo sveglio Salvini, indisponibile a farsi uccellare e tantomeno a farsi infilzare dallo spiedo spuntato. Ne è scaturito un dotto dibattito dottrinario, per ora sottovoce (l’argomento non ha precedenti di riferimento: sfido io, visto lo storico attaccamento dei parlamentari alle poltrone…). Sia come sia, l’azzardo ed il bluff dei 5 Stelle sono stati respinti (al mittente) ed il cerino infuocato è ritornato di nuovo tra le dita di Di Maio. Del quale deve comunque ammirarsi la capacità di resistenza allo stress (sia pure con volto e sorriso sempre meno sereni e sempre più tirati). E già: ma la realtà è un tantino diversa, dalle fantasie politiche. Non a caso, stanno emergendo varie perplessità, enunciate da alcuni costituzionalisti e lasciate trapelare dal Quirinale. In ogni caso, che il bluff sia stato smascherato, lo si desume dalle innanzi citate parole stizzite di Di Maio, a commento della proposta salviniana, che ha sparigliato le carte. Resta all’impiedi, però, un quesito. In sintesi: può reggere, la riforma costituzionale del taglio dei parlamentari, anche in caso di scioglimento delle Camere, nei giorni immediatamente successivi? Si badi bene, però: successivi… E la si può congelare, la riforma, per i cinque anni successivi, o per la durata della legislatura, immediatamente seguente?

 

Ma sarebbe davvero possibile, continuare? 

Uno dei problemi, non di poco conto, da risolvere, o, almeno, da sedare, è che Salvini aveva sparato una bordata, di quelle definitive e senza sconti, mirando alla testa del premier Conte: “Le sue parole mi interessano meno di zero”. Codesta frase era stata il culmine del crescendo rossiniano di Salvini, attivato come reazione al voto europeo dei 5 Stelle a favore della von der Leyen, alle sempre più dichiarate manovre di avvicinamento tra piddini e grillini ed ai continui insulti, proprio verso il Matteo del Nord, di taluni esponenti pentastellati (in taluni casi, per il vero, anche dopo un’azione preventiva del capo leghista). Per non dire del motivato, acuto rincrescimento salviniano, originato dai continui, ininterrotti successi elettorali della Lega, che hanno ribaltato (ma nelle urne, non alla Giorgio Napolitano…). Lo osservò, qualche puntata fa, questa rubrica. In queste ore, Salvini s’è seccato. E lo sta ribadendo: sto vincendo sempre, ma i numeri parlamentari sono fermi alle ultime elezioni politiche…

 

Le dimissioni, queste sconosciute…

E noi ripeteremo che, in Nazioni più evolute ed al passo con i tempi, i grillini si sarebbero arresi. Con leali dimissioni dai ruoli-chiave del governo, non più rispondenti alla volontà espressa dal popolo nelle urne. Per una corretta verifica, sulla base di un nuovo voto. Altrove, non si attende di essere spazzati via. Per decoro istituzionale e per rispetto della volontà del popolo sovrano, si fa leva sullo strumento delle dimissioni. Altrove, però… Invece, in Italia, a distanza di diversi giorni, come s’è osservato, a Salvini ha reso pan per focaccia Di Maio, con quelle parole, richiamate poc’anzi. Che hanno tutto l’aspetto di un’imitazione di quelle di Salvini su Conte. Di Maio, però, sembrerebbe ringalluzzito da qualche chance di accordo politico diverso dal forzato contratto di governo gialloverde. Verosimilmente, è anche incentivato, Di Maio, dalla prospettiva (proprio solo la prospettiva?) di un assenso del presidente Mattarella (che sarebbe decisivo, ma farebbe il paio con le ragnatele e le trame occulte di re Giorgio Napolitano, il cui spettro nessuno vorrebbe veder di nuovo aleggiare). E, sia detto, mica tanto per inciso, è proprio Mattarella, colui che preoccupa Salvini.  Altro che Renzi e Di Maio… Alla fin fine, non si può che chiosare con il lapidario aforisma, tranchant in sommo grado, del sarcastico, formidabile giornalista-scrittore (e… profeta) Ennio Flaiano: “La situazione politica, in Italia, è grave. Ma non seria…”.

 

La ventinovesima puntata di “Chiacchiere e nuvole” sarà on line, su ERREEMME NEWS.it, domenica 18 agosto.