“Chiacchiere e nuvole” – Puntata n. 48 – Elezioni in Umbria e il Copasir che agita Conte, il premier senza esercito. Ombre rosse (come sempre) sulla politica italiana…

Iniziano a rendersene conto un po’ tutti. I direttori dei quotidiani medi (i giornaloni, giammai!) stanno facendo a gara su chi scopre i tic nervosi, le inquietudini, le insicurezze del premier mai votato, Giuseppe Conte. Che ha perso lo smalto. Ma, molto peggio, ha smarrito perfino l’aplomb, quello che lo caratterizzava, da perfetto provinciale in grisaglia d’ordinanza, fino a pochi giorni or sono. Conte, insomma, da quando il leghista Volpi è asceso alla presidenza del Copasir, ovvero, dal momento in cui ha preso atto che non poteva sfuggire alle domande sugli strani eventi e su tutte le coincidenze che coincidono del periodo da giugno scorso ad oggi, è diventato un altro. E, fateci caso, sta reagendo in modo scomposto, ossia senza la sicurezza, la sicumera, la spocchia da professore di una sempre più misteriosa università (la Link campus).

Ma che frasi improvvide…

Non ci sta facendo una bella figura, il pugliese. Talmente pugliese e provincialotto, da comparare l’Umbria ed i suoi abitanti ad una parte della provincia di Lecce… Un’offesa inaccettabile, oltretutto improvvida all’estremo limite (per lui, che si gioca tutto, anche con disinibizione estrema, all’interno del governo giallo-rosso), nei giorni di una campagna elettorale proprio nella Terra Santa di San Francesco. L’Umbria della pace, l’Umbria francescana, trasformata in un campo di battaglia… Con una negatività in più: di conseguenza in conseguenza, Trento, Bolzano, la Valle d’Aosta, il Molise, la Basilicata, insomma tutte le regioni minuscole o quasi, dovrebbero essere accorpate a quelle più vicine per territorio e per tradizioni. Visto che è anticostituzionale, alla Conte, avere più o meno gli stessi abitanti della provincia di Lecce. Che è diventata l’odierno parametro della sostenibilità e della dignità d’una Regione… Immaginate con quanta gioia, per chi se le sente vomitare addosdso, certe irriguardosità.

Addirittura farnetica, Conte

Che denotano carenza profonda di rispetto, proprio sotto quel profilo costituzionale (oltre che sociale, culturale, storico), che pure, a parole, sembrerebbe stare tanto a cuore, a Giuseppi. La verità, alla radice, è che Conte sente terribilmente vibrare il terreno, sotto i suoi passi ormai incerti e solo fintamente baldanzosi. Da un lato, c’è  Di Maio che non perde occasione, per sbattergli sul muso che, senza i pentastellati, il governo non può respirare neppure con l’ossigeno d’emergenza. Dall’altro, incombe la minaccia Renzi, che attende momenti (e sondaggi) più propizi, dopo di che non si farà neppure un larvatissimo scrupolo, prima di staccare la spina al governo del “tutti contro Salvini”. Dall’altro ancora, c’è proprio il Matteo del Nord, che può amare Conte come si potrebbe sognare di trovarsi, faccia a faccia, a non più di un metro di distanza, con un serpente a sonagli…

Le risposte che non rispondono

Conte, ch’è un furbastro di tre cotte, ha tentato un disperato giochino d’anticipo, sulla vicenda Copasir. Addirittura, girando la frittata con studiata disinvoltura, che però non ha incantato nessuno. Il premier che, come Luigino da Pomigliano (nei giorni scorsi esibitosi con una capigliatura rasa, da scugnizzo), apprende e metabolizza procedure, tipologie e metodologie a ritmi da predatore, ci ha tenuto a diffondere la notizia che sia stato proprio egli, a chiedere d’essere sentito, in conformità alle leggi ed ai suoi diritti / doveri da capo del governo. Tralasciando, ovviamente, di aggiungere che, in questi guai, ha voluto immergersi proprio lui, Conte, riservando a sé stesso (faccenda imbarazzante ed assolutamente irrituale) la delega ai servizi segreti. Ora, non può pretendere di darla da bere a volpacchiotti, volpini, volpi antiche e volponi delle nevi. Certo, si sforza, tenta, ci prova. Ma non ci casca proprio nessuno.

Perfino Cazzullo…

Aldo Cazzullo, che di certo non è filo-salviniano, ha espresso, con qualche battuta lapidaria, le sue forti perplessità, sulle parole di Conte nella conferenza stampa post audizione al Copasir. Con l’aggravante che il (provvisorio) capo del governo aveva lasciato intendere fuoco e fiamme, nelle sue allusioni pre-audizione. Le allusioni e le insinuazioni, Conte le ha liquidate nella solita, ormai stantia e francamente sfiatata aggressività anti-salviniana, invitando  (sarà la centesima volta e, dunque, si può arguire quanto sia spuntata, come arma dialettica) il leader della Lega a seguire l’esempio luminoso contiano ed a farsi sentire in Parlamento, sul Russiagate.

Una sequenza di parole fumose ed elusive

Dopo di che, Conte ha parlato senza dire, ha detto senza chiarire. Ma, ancor più, ha lasciato vuoti di mesi, nel suo racconto. Quel che maggiormente rileva, non ha convinto. Anche perché la trasparenza (che termine abusato ed indigeribile…) pre-strombazzata mal s’addice, ad una vicenda che sarebbe segreta e secretata e che tale, inviolabilmente, dovrebbe restare. Dunque, l’autoreferenzialità sulla propria chiarezza (proprio Conte, un democristo insuperabile, allievo di uno dei più abbottonati, ermetici e blindati democristi della storia politica italiana, Enzo Scotti), davvero è apparsa fuori luogo. Sia come sia, essendo inutile soffermarsi ad analizzare le espressioni contiane post-audizione, costantemente sotto vuoto pneumatico, ci limiteremo a soggiungere soltanto che se ne vedranno delle belle.

Ombre ancora un po’ lontane…

In un quadro, del quale, per ora, si scorgono, in lontananza, come ombre ancora non definite, il guazzabuglio del Russiagate salvinian-savoiniano, l’opera della magistratura, che da tempo sta circondando il forte leghista al Sud (l’atto più recente, quello in Irpinia, che ha coinvolto, sia pure da qualche palmo di distanza, perfino la pupilla di Cosimo Sibilia, la non eletta, al consiglio comunale, Ines Fruncillo), il misterioso endorsement di Trump pro-Conte (che configura il misterioso ed anche folcloristico fulcro della vicenda) e tanti altri dettagliucci-ucci-ucci. Tra i quali, la Boschi, Renzi, Berlusconi che finge di non avvedersi della potatura dell’albero vizzo e senza linfa di foza / debolezza Italia. Un albero, dal quale si stanno allontanando, con codardo oltraggio, con aria sorniona e distratta, senza dimenticare di cospargere di miele il Berlusca (tanto, non costa nulla), proprio i superbeneficiati e ipergratificati… Come la storia dell’irriconoscenza e dell’ingratitudine inesorabilmente insegna e conferma. Nonché, ovviamente, tutti quelli che da tempo anelavano al Renzusconi. Inclusi i parvenu della politica, i peones senza schiena dritta, gli opportunisti. Cioè, tutti coloro che, nel farisaico politichese odierno, vengono qualificati – o si autodefiniscono – responsabili…

La Gruber riesuma il gesuita Sorge

In una recentissima puntata di Otto e mezzo, la trasmissione della chicchissima Lilli Gruber, è stato rispolverato dall’oblio, quasi riesumato, padre Bartolomeo Sorge. Ai giovani, questo nome e questo cognome non dicono (per fortuna) nulla. Ma il gesuita Sorge, ormai novantenne, ad onta della sua veneranda età (è apparso in forma, anzi più affilato, cinico e spietato che pria: complimenti, ovviamente per la lucidità), ha scritto, in cooperazione con tale Chiara Tintori, un libro, del quale si avvertiva proprio la mancanza. Un concentrato di anatemi, stile imam islamico,  contro il sovranismo, il populismo e, manco a dirlo, contro Matteo Salvini. Avverso il quale padre Sorge, poco cristianamente, non riesce neppure a dissimulare il suo palese sentimento di ostilità preconcetta.

Il trio Orlando-Sorge-Pintacuda

Una breve digressione sarà utile, al riguardo. Con Leoluca Orlando, padre Sorge e padre Ennio Pintacuda, anch’egli gesuita (recentemente scomparso), costituirono un trio celebre, all’epoca eroica dell’incommensurabile Giovanni Falcone. Orlando fu l’autore ufficiale dell’indecoroso slogan (“il sospetto è l’anticamera della verità”), dal quale traspariva una sorta di genesi, per l’appunto, gesuitica.

Le volgari accuse di Orlando a Falcone

Ebbene, il sindaco Leoluca (ancora oggi primo cittadino di Palermo, la città gattopardiana per eccellenza, ancor più della papalina Benevento) accusò, ignobilmente, Falcone di omissioni e di peggio, nella sua guerra, in tandem con l’altro indimenticabile Magistrato, Paolo Borsellino, contro la mafia. S’intersecarono, nella tristissima storia, le capziose trasmissioni televisive dell’ex sessantottino Michele Santoro. Tra di esse quella, impressionante, che indusse al suicidio il maresciallo Antonino Lombardi, un altro eroe dimenticato della guerra anti-mafia (non di certo quella dei professionisti dell’anti-mafia, come li scudisciava il grandissimo Leonardo Sciascia).

La lapidaria replica di Falcone ad Orlando

Giovanni Falcone rispose da par suo, alle insinuazioni di Leoluca Orlando: È un modo di far politica che noi rifiutiamo… Se Orlando sa qualcosa faccia i nomi e i cognomi, citi i fatti, si assuma la responsabilità di quel che ha detto, altrimenti taccia”.  Per completare il quadro disgustoso della complessa questione, segnaleremo che il coraggioso, limpido maresciallo dei Carabinieri, Antonino Lombnardo, si suicidò, con la pistola d’ordinanza, per non coinvolgere i suoi familiari nelle pesanti minacce e nei gravissimi avvertimenti a suo carico. Lombardo, a proposito della trasmissione di Michele Santoro, “Tempo reale”, nel corso della quale erano state lanciate inaccettabili insinuazioni sul suo conto, dichiarò: Il sospetto e la delegittimazione, in Sicilia, sono sempre stati l’anticamera della soppressione fisica”.” Per dire del peso e dell’incidenza che la frase orlandiana (sulla presunta anticamera della verità) aveva, in quel periodo, in Sicilia.

Ma torniamo al gesuita Sorge

Ebbene, per puntualizzare che, purtroppo, si sta ingenerando, in Italia, un clima non lontano da quello della lotta di Falcone e Borsellino alla mafia, il gesuita Sorge, con aria molto più cinica ed allusiva che tranquilla, ha dileggiato Salvini per i suoi baci ai crocifissi, per le sue invocazioni al cuore immacolato di Maria, per i suoi simboli religiosi. Precisando, Sorge, che la politica non abbia il diritto di far leva sui sentimenti religiosi. Ci limiteremo a rammentare, al gesuita Sorge, che, all’epoca del fronte social-comunista (epoca di Togliatti e Nenni, per intenderci), la Chiesa cattolica, il Papa di allora (che non era Bergoglio) non rifuggivano affatto, dall’ostentazione orgogliosa dei simboli cattolici, cristiani, religiosi, in funzione anti-ateista, anti-comunista, anti frontista. Rammenteremo, a Sorge, la vignetta di Giovannino Guareschi, quella della lapidaria espressione “nel segreto dell’urna, Dio ti guarda, Stalin no”, che procurò quantità industriali di voti, alla DC. Altro che i pavidi sacerdoti… Nello splendido disegno di Guareschi, la vecchietta, illuminata dalla luce di Dio, sbarrava, nel segreto dell’urna, il simbolo della Democrazia Cristiana, lo scudo crociato. Non se ne vergognava, all’epoca, la Chiesa…  Né giudicava i gesti alla Salvini come impropri, inaccettabili, strumentali. E chi più ne ha, più ne metta… Come cambiano, i tempi… Ma ne riparleremo dopo le regionali in Umbria.

 

La quarantanovesima puntata di “Chiacchiere e nuvole” sarà on line, su ERREEMME NEWS.it, domenica 27 ottobre.