Ci soccorre una splendida, armoniosa, melodiosa, struggente canzone napoletana, di quelle suggestive ed insuperabili, “Piscatore ’e Pusilleco”: “Dorme ’o mare, voca, voca.
Tutt’è pace attuorno a me”. Quel tranquillizzante, quasi definitivo “tutt’è pace” è la percezione che ci suggerisce il clima, da “tutto è compiuto”, che ha accompagnato la nascita del governo Conte 2. Dopo le tumultuose vicende di queste ultime settimane. Conte 2: vendetta, o no, che sia. Ci avete fatto caso? Tutti si sfogano, si liberano degli affanni, delle angosce, delle paure dei giorni scorsi.
A distanza di pochi giorni…
Eppure, son passate solo delle ore: non mesi, meno che mai anni. Sapevamo bene di non poter sbagliare, quando abbiamo titolato la precedente puntata di questa rubrica: “Grillo ossequiato da Zingaretti. È la prova che il PD non vuole andare al voto”. Ieri, mercoledì 4 settembre, abbiam dovuto addirittura sentire, dall’ineffabile segretario piddino: “È vero. Ero contrario all’accordo con i 5 Stelle. Ma, poi, ha prevalso l’amore per l’Italia. Mica la paura delle elezioni…”. Sintesi: il PD s’è salvato, ancora una volta (è, in una conta generosa, la quarta volta consecutiva…), dal precipizio dei consensi. Eppure, secondo Zingaretti, quasi quasi è il popolo italiano, che deve ringraziare i piddini. Una visione singolare. Inverosimile. Anche temeraria. Perfino sfrontata. Ma tant’è…
La chiave di lettura di Paolo Mieli
La decifrazione della vicenda l’ha regalata Paolo Mieli, che nessuno potrebbe azzardarsi a definire, neppure per uno scherzo da prete, filo-salviniano. Invero, il maturo giornalista, direttore anche del “Corriere della Sera”, è stato sempre di sinistra ed ha militato, in gioventù, perfino in “Potere operaio”, la formazione extra-parlamentare degli anni di piombo. Ebbene, Mieli, nel suo editoriale sul Corsera, ha ripercorso i tortuosi, ambigui sentieri politici di questi ultimi decenni. Ha ironizzato, con il suo stile garbato e misurato: “Ma c’è poi la sensazione che la prospettiva di una sinistra italiana in grado di andare un giorno al governo sull’onda di un indiscutibile (e legittimante) successo elettorale svanisca sempre più all’orizzonte. A differenza di quel che è accaduto e accade in tutto il mondo — quantomeno nei Paesi in cui si tengono vere elezioni — da noi, in settantacinque anni, non è mai successo che la sinistra sia andata al potere in seguito a una vittoria elettorale. Con l’unica eccezione del 21 aprile 1996 quando vinse l’Ulivo con Romano Prodi… Una vittoria… resa meno nitida dal celeberrimo ribaltone” (quello ordito da Oscar Luigi Scalfaro).
La ricostruzione storica
Mieli, che è anche un autorevole storico, s’è impegnato, a beneficio dei lettori, in una puntuale ricostruzione, da Togliatti ad oggi. Rammentando, ai labili di memoria che, dopo la già di per sé poco limpida vittoria prodiana, “… la destra fu capace di prevalere nuovamente alle elezioni, la sinistra no. Mai più. Quantomeno sul piano nazionale…”. Da allora, chiosa Mieli, son prevalse “le virtù dell’incoerenza, della capriola acrobatica e del mancato rispetto della parola data… l’ostentata indifferenza a… impegni su temi specifici”. Situazione che, se fosse irreversibile, condannerebbe l’Italia ad un cupo futuro, machiavellico o guicciardiniano: in una sola parola, fiorentino.
Un angolo visuale obbligato dai fatti (bizzarri)
Daremo un taglio particolare, a questo commento sul nuovo governo, nato ieri, mercoledì 4 settembre (auguri!). È una compagine governativa tutt’altro che improvvisata. Nata dalle elezioni europee (26 maggio scorso), ossia da (relativamente) lontano. Dalle trattative occulte, ben celate, ma intense, che hanno preceduto e propiziato l’elezione, più volte puntualizzata da questa rubrica, di Ursula von der Leyen.
Svanito il segreto…
Tant’è che oggi, giudicato ormai inutile il mascheramento ed il rispetto del segreto (che, poi, non era più tale da settimane), non pochi, a cominciare dall’innanzi citato Paolo Mieli, parlano di governo Ursula, ossia ispirato a quella stessa aggregazione (dentro PD e M5S, ma anche LeU e, udite udite!, forza / debolezza Italia), addensatasi intorno alla pupilla di Angela Merkel. Un Berlusconi, aggiungiamo noi, preoccupatissimo per le sorti della sua Mediaset. Molto più che di quelle della Nazione. E, figuriamoci, di quelle della coalizione di centro destra. Che, pure, a parole, evoca e propugna ad ogni pie’ sospinto.
Ricolfi: una corretta disamina
Una brillante ed obiettiva spiegazione, l’ha fornita un acuto analista: Luca Ricolfi, sociologo torinese, anch’egli dichiaratamente di sinistra, ma di una sinistra serena, illuminata, critica. Ricolfi ha messo i puntini sulle “i”, com’è solito fare per qualsiasi argomento sottoposto alla sua ponderazione. Quei puntini sulle “i”, che possono non piacere, ma hanno il pregio della serietà e della correttezza, oltre che della libertà di pensiero. Il sociologo, intervistato dalle massime emittenti televisive nazionali, ha, in soldoni, dichiarato: “Sento dire che al nuovo governo sarà riservato, in Europa, un trattamento ben diverso, da quello avuto da Salvini. Non è corretto. L’Europa, così, non va avanti. I governi hanno il diritto ad essere sostenuti, o non, solo in base alle regole. Non alle simpatie politiche…”.
Le diversità tra Salvini e il Berlusca
Ma non basta. Ricolfi è entrato anche nel merito delle differenziazioni politiche: “Le iniziative di Salvini sono solo politiche. Quelle di Berlusconi guardano a Mediaset, che le condiziona intensamente”. E pretenderebbe, il Berlusca, che il popolo italiano gli corresse ancora dietro. O che, quantomeno, lo accompagnasse all’occaso della sua parabola politica…
Il conflitto d’interessi, bluff antico…
È l’argomentazione che introduce un altro aspetto peculiare. Il conflitto d’interessi. Mai risolto e neppure timidamente avviato a soluzione. Neanche da D’Alema, che, pure, auspicava di vedere Berlusconi chiedere l’elemosina agli angoli delle strade di Milano. Lo ricordate? Ipotesi ed immagine sgradevole, ma efficace e suggestiva, che intendeva diffondere la percezione dell’odio profondo, viscerale, contro Silvio. In realtà, era un bluff. Perché, alla sinistra, è convenuto molto di più tenere per le palle Berlusconi, che affondare i colpi. Ossia, condizionarlo, minacciarlo, intimidirlo. Talora, più umanamente (e più farisaicamente), rabbonirlo. Anziché puntare a risolvere la questione in via definitiva.
“Più che il dolor, poté il digiuno…”
A mo’ dell’epico conte Ugolino della Gherardesca, tragico personaggio dantesco, “più che il dolor, poté il digiuno…”. Così, soddisferemo anche la fiorentinità del giglio tragico e di Roberto Benigni. Il digiuno, da troppo tempo, di poltrone. Di posti di comando. Occasione ghiotta, irripetibile, quella del Conte 2. Non se la poteva lasciare sfuggire, un PD in crisi di astinenza e con prospettive – come ha alluso Paolo Mieli – di ulteriore penitenza, chissà quanto lunga. Non intendevano perderla, l’occasione, nemmeno i grillini, atterriti dall’altrimenti imminente turno elettorale. Figuriamoci, poi, l’ex ignoto, l’ex maggiordomo (epiteto affibbiatogli da sinistra) Giuseppe Conte, la reincarnazione della democrazia cristiana, in salsa pugliese.
Proviamo ad indovinare i commenti dei posteri
Quando, tra decenni, consegnata la nostra infelice era attuale alla storia, si analizzerà il trentennio che va dal 1990 al 2019, si dovrà, necessariamente, definirlo della democrazia negata. Iddio non voglia, che il diniego della democrazia si perpetui… Ma ce ne sono, purtroppo, tutte le premesse. Conte, la reincarnazione della dura a morire democrazia cristiana. Alla Bodrato, alla Galloni, alla Prandini… Non certo alla Cossiga, alla Fanfani, né (con tutti i terribili difetti, a volerli definire così) alla Andreotti. E neppure comparabile, Giuseppe Conte, al suo conterraneo Aldo Moro.
Incomparabili, Moro e Giuseppe Conte
Meno sorridente e meno accondiscendente, Moro. Ma molto più rigoroso ed affidabile. Certo, un Moro con due tazzine di caffè in mano, non lo immaginerebbe nessuno. Conte, viceversa, si deliziava, al pensiero che le sue carinerie gli potessero regalare benefici e punti qualità, in ambito internazionale. Come ha ben capito anche Luigi Di Maio, che, non a caso, dopo la solita serie di piroette, è finito agli Esteri… Per consolidare e, possibilmente, rafforzare i rapporti, appena avviati con l’elezione della Ursula von der Leyen. Non v’è che dire: proprio volpini, questi grillini… Sarà proprio una contesa, una tenzone, senza esclusione di colpi, il derby piddin / grillino…
Non c’è speranza in una ribellione popolare…
Qualcuno, ingenuissimo, ritiene che il popolo, prima o poi, reagirà, allo stallo democratico. Ovviamente, con modalità di assoluta correttezza. Il fatto è, invece, che il popolo non resiste troppo a lungo, se mazzolato come un’incudine. L’eroismo, manco a pensarci. La dignità, merce rarissima. Il decoro, sempre più in liquefazione. Si può resistere per qualche tempo. Ma l’analisi di Paolo Mieli, semmai, induce a dedurre che sia stato già un tandem ultra-ammirevole, nel comune sovranismo, a dispetto dei poteri fortissimi, il duo Salvini-Meloni…
La bizzarra democrazia di Beppe il comico
Quanto a Beppe Grillo, che, in questa rassegna, s’è guadagnato un posto d’onore, ha una bizzarra concezione della democrazia. Sembrava fermo, per modo di dire, alla rivoluzione del web, alla democrazia virtuale, della piattaforma Rousseau. Macché! Ha inventato la democrazia “ventosa”, o del vento. “Va’, dove ti porta il vento…”. Il vento dell’opportunismo più spregiudicato. Quello, al quale ha fatto triste riferimento Paolo Mieli. E Grillo, spregiudicatamente, si fa trascinare e anche cullare, dal vento. Ed ha invitato, anzi ha gridato forte, strillato, urlato, strepitando e dimenandosi come un ossesso, ai giovani piddini (sa bene che gli anziani non l’avrebbero seguito mai): “È un’occasione unica. Unica…”. L’ha proclamato (anzi: ha finto di proclamarlo) ai giovani piddini. Ma, in realtà, parlava a nuora, affinché suocera (gli iscritti alla piattaforma Rousseau) intendesse…
Grillo a Di Maio: “Ora, cammina sulle tue gambe”
Grillo aveva detto alla sua creatura, il Movimento, incarnato da Luigi Di Maio: “Ora, cammina sulle tue gambe”. Nessuno gli aveva, ovviamente, creduto. Tranne gli inguaribili ingenuoni. Puntuale, dal 20 agosto, nel momento acuto della crisi del governo giallorosso, eccolo, l’ex comico, trasformarsi in tragico cantore delle future sventure, se non si fosse approdati al governo non più gialloverde, ma col rosso al posto del verde…
L’intimidazione ad un Di Maio riottoso
Fino all’apice, da questa rubrica preannunciato: la violenta critica di Beppe, dalle colonne de Il Fatto Quotidiano, la voce ufficiale dei poteri grillini, contro Di Maio. Un Di Maio che si stava già districando tra mille trappole ed insidie. Con l’aggiunta delle minacce di Beppe. Il tutto, nel silenzio assoluto di Mattarella. Che non ha trovato alcunché da ridire, sulla democrazia (quella partecipata e rappresentativa) violata, vulnerata, violentata da personaggi ad essa esterni (Grillo e Casaleggio, ben lo si sa, non si sono mai candidati). Ma perché Mattarella non inizia un po’ ad imitare Cossiga? E già: Cossiga, però, era un democristiano anomalo. O, meglio, lo è diventato dopo l’agghiacciante affaire Moro. Ma che, ci vuole solo una tragedia (non voglia Iddio che si ripeta!), per smuovere i democristiani di lungo corso?
La trentacinquesima puntata di “Chiacchiere e nuvole” sarà on line, su ERREEMME NEWS.it, domenica 8 settembre.