Caivano, quartiere periferico di Napoli in questi giorni sotto i riflettori della stampa italiana, della tv e dell’opinione pubblica per la tragica morte di Maria Paola, una ragazza che per amore del suo Ciro, un ragazzo che ha scelto nella vita di essere Ciro, ha visto sacrificata la sua stessa vita per mano di suo fratello. Di questa tragedia ci sono diverse vittime. C’è Maria Paola, una ragazza bella e solare che ha pagato la prezzo più grande. Poi c’è Ciro, che una volta risanati i lividi sul corpo per via dell’incidente, avrà per sempre una ferita nel cuore, un cuore che speriamo un giorno torni a vivere nuove emozioni.
Poi ci sono le due famiglie quella di Ciro e quella della povera Maria Paola, che per futili motivi vivono in una situazione di “distruzione” dei sentimenti. La famiglia di Maria Paola poi, vive il dolore della perdita di una figlia, per mano di un altro figlio: Michele, un ragazzo che non è una vittima, certo, ma che per sua scelta ha visto distruggere la sua vita. Oltre che porterà il rimorso di essere stato l’autore della morte di sua sorella. Un rimorso che porteranno sicuramente anche i genitori di Michele e di Maria Paola. Complici di non aver accettato la scelta d’amore della loro stessa figlia.
In questa, come in tante altre storie, c’è la vittima sacrificata più volte: Caivano, troppe volte oserei dire, alla ribalta delle cronache per fatti legati a tragedie. Il Parco Verde di Caivano, come Scampia, due destini paralleli. Due esperimenti urbanistici che nascono per migliorare situazioni abitative di emergenza e di degrado ma che finiscono per trasformarsi nel suo esatto contrario, vale a dire un «fortino» di malavita e di raccapriccianti casi di cronaca. A Caivano gli edifici del Parco Verde vennero costruiti subito dopo il terremoto in Irpinia del novembre 1980: servirono a ospitare migliaia di famiglie provenienti da paesi dell’entroterra della Campania devastati dal sisma, ma si trasformarono in un agglomerato permanente. Il quartiere conta oggi 6.000 abitanti circa rinserrati in spazi abitativi stretti e privi di manutenzione, una delle maggiori «piazze» dello spaccio del Napoletano, al pari di Scampia.
Anche qui come nel quartiere delle Vele ora destinate all’abbattimento è la criminalità organizzata a dettare la legge, che presidia il territorio e gli affari che da esso ne derivano attraverso una rete di «sentinelle» (spesso minorenni che in questo modo fanno il debutto nell’illegalità) ma anche grazie a un sistema più evoluto fatto di telecamere, barriere architettoniche, inferriate, periodicamente smantellate dalle forze dell’ordine ma che puntualmente ritornano al loro posto. Nel 2019 la Corte dei Conti ha aperto una istruttoria su tutti i sindaci e i funzionari comunali di Caivano che per anni hanno tollerato affitti non pagati per decenni, appartamenti occupati senza titolo, danni erariali per milioni di euro.
Un luogo legato a due tragedie che hanno avuto come vittime due bambini: Fortuna Loffredo e Antonio Giglio, vittime di abusi sessuali da parte di adulti. Fortuna Loffredo: aveva appena 6 anni quando morì il 24 giugno del 2014 per essere stata precipitata dall’ottavo piano di un palazzo. Secondo gli inquirenti la piccola voleva sottrarsi a un tentativo di violenza da parte del compagno della madre, Raimondo Caputo che per questi fatti è stato condannato all’ergastolo. Anche l’ex compagna di Caputo, Marianna Fabozzi, è stata condannata a 8 anni. Marianna Fabozzi è anche la mamma di un altro bimbo, Antonio Giglio, 4 anni, morto in circostanze misteriose nel 2013 ma con una dinamica del tutto identica alla tragedia di Fortuna Loffredo: precipitò dal settimo piano di un appartamento del Parco Verde. Per la donna il gip di Napoli ha chiesto l’imputazione coatta per omicidio.
«Qui al Parco Verde sarà sempre peggio. D’altronde lo Stato ha deciso a tavolino che questo debba rimanere un ghetto. Quello che accade ne è solo la diretta conseguenza. Qui le istituzioni non ci sono. La gente perbene se ne va e le loro case vengono occupate dai malavitosi. E’ inutile, qui non c’è futuro» ha detto il sacerdote dopo l’incontro avvenuto qualche giorno fa proprio a Caivano.